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Il parere dell’economista capo di Raiffeisen

Edizione 13.11.2024

Fredy Hasenmaile

Fredy Hasenmaile

Economista capo di Raiffeisen

Lo stomaco viene prima della morale

Quando si tratta di polarizzare l’opinione pubblica, Donald Trump non è secondo a nessuno. Ho riflettuto a lungo prima di decidere se farne oggetto di trattazione nella mia rubrica o meno. Prima delle elezioni ho volutamente rinunciato a questa opzione. Non siamo infatti noi a votarlo, bensì le americane e gli americani. Ho quindi considerato che potevate fare a meno della mia lezioncina. Ciononostante, adesso è per me imprescindibile parlare di questo tema in quanto vorrei capire come siamo arrivati all’elezione di Trump, che mi lascia sbalordito come non mai.

Fin da bambino mi è sempre stato inculcato il sano principio che non si deve mentire. In un mondo che tollera gli inganni e le falsità o addirittura li utilizza artatamente, la fiducia non è possibile. Ma senza fiducia reciproca non funzionano né l’economia né la società. Donald Trump invece è un bugiardo patologico. Per quattro anni ha urlato ai quattro venti senza alcun fondamento la menzogna delle elezioni rubate, senza peraltro essere chiamato a rispondere in alcun modo delle sue asserzioni. Diffonde falsità che danneggiano altre persone e istiga gli uni contro gli altri. Si esprime in modo denigratorio nei confronti delle donne e delle minoranze. A inizio 2021 aveva cercato di indurre il funzionario responsabile delle elezioni nello stato della Georgia a commettere una frode elettorale e istigato l’assalto al Campidoglio per bloccare la conferma del risultato elettorale del 2020, senza muovere un dito mentre diverse persone morivano durante la sommossa e il suo vicepresidente Mike Pence versava in pericolo di vita.

 

It’s the economy

Per 73 milioni di americane e americani tutto ciò non sembra però rappresentare un problema. Tollerano la sua retorica sopra le righe, le sue menzogne e i suoi faux pas. Com’è possibile? Come si può avere un simile metro di giudizio? Evidentemente gli ultimi quattro anni sono stati molto pesanti per gli americani. In particolare, a farsi sentire sono stati gli effetti dell’inflazione. Dall’elezione di Joe Biden, avvenuta a novembre 2020, il livello dei prezzi negli Stati Uniti è infatti aumentato del 21%. Come emerge dai dati sulla fiducia dei consumatori, soprattutto il ceto mediobasso non sembra riuscire a compensare questo fardello percepito quotidianamente attraverso il conseguimento di stipendi più elevati.

Se veramente l’inflazione ha giocato un ruolo così predominante, viene tuttavia da chiedersi per quale motivo le elettrici e gli elettori non diano la colpa anche a Trump. Il suo programma congiunturale da ben 2200 miliardi di dollari, risalente al marzo 2020 e noto come CARES Act, aveva infatti un volume solo di poco inferiore rispetto ai due programmi per complessivi 2800 miliardi successivamente varati da Biden a dicembre 2020 e a marzo 2021. Questi interventi di stimolo di portata eccessiva e le eccedenze risparmiate durante la pandemia hanno impresso una spinta decisiva all’inflazione. Ma di tutto questo l’elettorato non sembra proprio ricordarsi.

 

La Trumpnomics ha un effetto pro-inflazionistico

Allo stesso modo, le americane e gli americani non hanno ben presente quali sono gli sviluppi attesi. L’elezione di Donald Trump non promette in nessun modo un’inflazione minore. Tutti i suoi progetti (dai dazi più elevati alla riduzione delle tasse, dall’espulsione dei migranti alla pressione sulla Fed) si traducono in ultima analisi in una maggiore inflazione. Markus Brunnermeier, professore di economia alla prestigiosa Princeton University e uno dei massimi economisti negli Stati Uniti, sottolinea parimenti che a livello puramente contabile il finanziamento compensativo dei tagli fiscali mediante il gettito prodotto dai dazi previsto da Trump non quadra. JPMorgan Chase, la principale banca degli USA, stima che un dazio del 60% sui prodotti cinesi e del 10% su tutti gli altri beni importati accrescerà l’inflazione negli Stati Uniti per il 2025 da 1,5 a 2 punti percentuali. Anche il rinomato Peterson Institute giunge a una conclusione analoga, ovvero un’inflazione aggiuntiva del 2% per il 2025. Si noti bene che in questo computo è compreso soltanto l’effetto prodotto dai dazi, senza considerare gli altri eventuali fattori che possono produrre un effetto pro-inflazionistico.

 

Zero solidarietà con gli immigrati

Oltre alla rabbia causata dall’elevata inflazione, un ruolo decisivo è stato svolto anche dal fallimento dei Democratici nel contenimento dei flussi migratori. Per le fasce reddituali più basse, che hanno votato prevalentemente per Trump, gli immigrati sono sic et simpliciter mera concorrenza. La promessa di Trump di arginare l’immigrazione e addirittura di attuare espulsioni di massa per chi non ha i documenti in regola riduce la competizione per le attività di bassa manovalanza sul mercato del lavoro, mitigando così la pressione salariale sulle fasce di reddito più basse. Il semplice fatto che molte delle persone appartenenti a questo ceto siano arrivate esse stesse negli Stati Uniti come immigrati non significa che siano solidali con chi vorrebbe riuscirci ora. Come diceva Bertold Brecht nella sua Opera da tre soldi: «Lo stomaco viene prima della morale». La strategia dei Democratici, che prevedeva di concentrarsi sulla persona di Trump e sul suo atteggiamento tutt’altro che morale, non ha quindi centrato l’obiettivo.

 

Paternalismo

Peraltro, anche il repertorio dei Democratici non è scevro dal mezzuccio dell’insincerità. A lungo hanno cercato di nascondere lo stato di salute del loro Presidente e di negare che egli non avesse più uno stato di forma tale da consentirgli di esercitare il suo ruolo. Il loro approccio è stato soltanto un po’ più raffinato di quello di Trump. Ma le americane e gli americani non sono più disposti ad accettare un clima di costante paternalismo che impone dall’alto cosa è giusto e cosa è sbagliato in questioni riguardanti il gender, la politica climatica o la politica estera. Allo stesso modo, sarebbe stato più opportuno se i Democratici non avessero puntato continuamente il dito contro il carattere inadeguato di Trump e i suoi comportamenti poco decorosi. In questo modo hanno infatti veicolato l’impressione di superiorità morale e arroganza, qualità per le quali i ceti più bassi raramente simpatizzano. Di conseguenza, come già nel 2016, queste elezioni sono state espressione di una protesta contro le élite a cui manca la sensibilità per le preoccupazioni quotidiane di ampie fasce della popolazione statunitense. Queste dinamiche appaiono evidenti nei sondaggi preelettorali, che ancora una volta hanno sbagliato di gran lunga le previsioni e non sono stati in grado di cogliere correttamente il sentiment di base della «pancia» dell’elettorato a stelle e strisce.

 

Quattro anni difficili

L’elezione di Trump è un duro colpo contro i principi basati sui valori, le conquiste democratiche e lo stato di diritto. Sono già state intraprese misure per far cadere i procedimenti federali contro di lui, nonostante la sua elezione come 47° Presidente degli USA cambi ben poco alla sua condizione di colpevolezza o innocenza. Ci attendono molto probabilmente quattro anni difficili, soprattutto per tutti coloro che vorrebbero continuare a insegnare ai propri figli valori come decenza, morale e onestà. Come conviveranno con questo dilemma i 73 milioni di elettrici ed elettori di Trump?

Fredy Hasenmaile

Fredy Hasenmaile

Economista capo di Raiffeisen

Fredy Hasenmaile è economista capo e responsabile dell'Economic Research di Raiffeisen Svizzera dal 2023. Insieme al suo team, Fredy Hasenmaile analizza gli sviluppi globali e nazionali dei mercati finanziari ed economici. Rientra nei suoi compiti quello di interpretare gli eventi in ambito economico e di formulare previsioni sui principali indici economici.